sabato 4 marzo 2017

Metodi didattici a confronto:
Coach Carter vs Whiplash

Nel post di oggi, prenderò in esame due film di ambientazione scolastica (quelli del titolo) e metterò a confronto le figure dei due docenti protagonisti. Questi docenti hanno in comune non solo la pelata, ma anche i metodi severi e inflessibili. Chi uscirà vincitore dal confronto? Staremo a vedere.

carter vs whiplash

Quando ho letto la trama di "Coach Carter", prima di vederlo, ho pensato che il film si inserisse bene in quel filone cinematografico in cui i protagonisti sono dei malcapitati insegnanti che si ritrovano alle prese con scolaresche problematiche, svogliate, disadattate, indifferenti. Spesso questi film iniziano con i professori che non vengono degnati di uno sguardo dagli alunni e finiscono con gli stessi professori portati in trionfo dagli allievi, diventati nel frattempo studiosissimi. Questi film sono sì gradevoli ma contengono il più delle volte un alto tasso di retorica.

Inoltre, Coach Carter veniva spesso trasmesso su una rete per famiglie e questo fatto, unito alla retorica di cui sopra, mi faceva venire ancor meno voglia di vederlo. Se la retorica normale è da prendere col contagocce, quella di tipo adolescenziale è da assumersi a dosi omeopatiche.

Poi però, mi sono accorta che il protagonista era nientemeno che Samuel Jackson e allora, vinti tutti gli indugi, ho deciso di dare una chance al film e di avventurarmi nella visione. Se c'è Samuel Jackson - mi sono detta - il film non può essere troppo banale.

Samuel Jackson interpreta il coach Carter che, come si può forse intuire, non è veramente un professore. È bensì un allenatore di basket e viene incaricato di occuparsi della squadra di pallacanestro di una scuola situata in un quartiere malfamato dove l'attività principale è lo spaccio e la seconda attività principale è la rissa con coltello.

Come previsto, i ragazzi non sono né disciplinati né studiosi ma almeno hanno voglia di giocare a basket. Il coach però mette subito in chiaro le regole da rispettare per poter far parte della sua squadra. Innanzitutto bisogna smetterla di parlare come scaricatori di porto. Inoltre bisogna vestirsi decentemente e arrivare puntuali. Dulcis in fundo, bisogna frequentare tutte le lezioni (non solo quelle di basket) e avere una media superiore a un certo valore stabilito dal coach. Si noti quindi che le regole, per la gran parte, non riguardano il basket.

Tutti dicono sì sì va bene, accettiamo le regole ma il coach non è mica fesso: fa firmare a tutti un bel contrattino così che quelli che firmano non abbiano poi da lamentarsi se vengono sbattuti fuori dalla squadra per non aver rispettato le condizioni del contratto.

Bene, iniziano gli allenamenti sotto la direzione esigente del coach che non esita a escludere dalla squadra chi non si comporta come da contratto, anche se è bravo a giocare. Inizia la stagione delle partite e la squadra va alla stra-grande, sempre prima in classifica.

Dopo qualche tempo, il coach decide di andare a verificare se i suoi allievi stanno rispettando il contratto. Naturalmente, diversi ragazzi non studiano, non hanno la media richiesta e addirittura c'è qualcuno che non va neanche a lezione.

Il coach si incacchia alla grande e si sente pure preso in giro. Come punizione, decide di interrompere gli allenamenti, di chiudere la palestra e di non far partecipare la squadra alle successive partite di campionato. Tutto tornerà alla normalità solo quando i ragazzi si saranno messi in pari con lo studio.

La sua decisione attira le ire di tutti: non solo quelle dei ragazzi ma anche quelle del preside, dei genitori, perfino di altri professori.
"Come osa lei", dicono i genitori, "non far giocare i nostri figli che sono tanto bravi?"
E il preside rincara:"Come osi tu far incavolare i genitori?"
Non so perchè, ma la situazione mi ricorda un po' quella della moderna italica scuola.

Insomma vien fuori un casino, il coach viene addirittura aggredito fisicamente e a scuola gli fanno persino una sorta di processo. Lui però è un figo, tiene duro e cerca di far capire a quei cialtroni che gli danno contro che innanzitutto bisogna insegnare ai ragazzi la disciplina e che il fatto di essere atleti non dà loro il diritto di fare tutto quel cavolo che vogliono, infrangendo le regole che avevano promesso di rispettare.

Inoltre, il coach fa un discorso molto pratico e cerca di spiegare che se i ragazzi avranno dei voti decenti alla fine della scuola potranno, anche grazie al basket, andare al college che è probabilmente l'unica opportunità che hanno per sfuggire a quel quartiere malfamato dove è altamente probabile che finiranno in prigione, se va bene. Se va male, ci lasceranno le penne.

Insomma il coach è un tipo deciso e coerente. O si fa come dice lui oppure, fanculo tutti, che si arrangino, lui se ne va. No anzi, il coach non dice proprio così, perchè aborre il turpiloquio per cui al massimo potrebbe dire:"Go to that country".

Ma ora passiamo al secondo film - "Whiplash" - vincitore di un milione di premi assortiti.

Stavolta la scuola non è in un quartiere malfamato ed è anzi una scuola prestigiosa. Un prestigioso conservatorio, per la precisione.

Il protagonista del film è un ragazzo che studia batteria. Una sera, mentre si sta esercitando solo soletto in una stanzetta, arriva un professore ad ascoltarlo. Il professore - tal Fletcher (e non è parente di Jessica) - lo invita a far parte della sua band, formata solo da studenti selezionatissimi.

Il ragazzo, tutto contento, inizia a partecipare alle prove con la band ma non tarda molto a sperimentare i metodi violenti di Fletcher. Questo sedicente professore non esita a gridare e a insultare, picchiare, umiliare i suoi studenti.

Non solo, tiene gli allievi constantemente sulla corda cambiandoli continuamente di ruolo: da principale a riserva e viceversa, fomentando una malsana competizione tra alunni.

Il ragazzo ha un carattere molto forte e non si lascia abbattere e anzi, si getta anima e corpo nello studio. Molla la fidanzatina e si esercita come un pazzo fino a farsi sanguinare le mani.

Dopo vari casini che non sto a narrare, il ragazzo viene espulso dal conservatorio ma salta fuori che il professor Fletcher è stato probabilmente responsabile del suicidio di uno studente, tempo addietro. I genitori di questo studente morto vogliono far licenziare il professore e chiedono al ragazzo di collaborare con loro, come testimone anonimo.



Non proseguo oltre con il racconto della storia e mi limito a dire che il finale è abbastanza ambiguo, può essere interpretato in più di un modo e uno di questi non mi piace per niente.

Chiarisco subito che il film è ottimamente recitato, ottimamente girato, fotografato, realizzato e tutti gli altri "-ato" che vengono in mente. Dal punto di vista cinematografico, questo film è superiore a Coach Carter anche se Samuel Jackson è veramente carismatico e bravo.

Detto ciò, ho trovato il film disturbante. Mi sono chiesta: ma qual è il messaggio che l'autore voleva dare? No perché l'unico messaggio che viene in mente a me è:"Guardate, è proprio così che non si insegna". Avete presente quando in tv ci sono certi personaggi che fanno cose pericolosissime e appare in sovraimpressione la scritta:"Non fatelo a casa"? Ecco, io avrei fatto sovraimprimere al film "Non fate così in nessuna scuola".

Dubito però che l'autore dell'opera intendesse dire questo. Anche leggendo molti dei commenti al film sembra di capire che il senso della storia sia grossomodo: vale la pena sacrificarsi fisicamente, emotivamente e relazionalmente per l'arte?

Premesso che so - e non per sentito dire - che per suonare da bene a benissimo uno strumento bisogna farsi un mazzo tanto. Non basta fare gli occhioni da cane bastonato e dire:"è il mio sogno, ci riuscirò perchè ci credo e non so fare altro."

Analizziamo la frase in corsivo che ho scritto sopra.

Mimì Ayuhara con i polsi non
ancora sanguinolenti
Per quanto riguarda il sacrificio fisico, beh, suonare ore e ore di seguito non è tanto riposante, questo è sicuro, ma lavorare in miniera direi che è un tantino peggio. Inoltre mi pare un po' assurdo vedere un musicista che suona fino a spaccarsi le mani. Dopo due giorni ti viene la tendinite e allora che fai? Ti ingolli tutta la scatola degli antidolorifici e continui a suonare? La tua carriera di musicista finisce ancora prima di iniziare. Non siamo nel cartone di Mimì Ayuhara dove la protagonista si allenava a fare bagher con le catene ai polsi.
Il corpo deve essere tenuto da conto. Il musicista Robert Schumann aveva tentato strani esperimenti, tipo fasciarsi un dito allo scopo di migliorarne l'articolazione, col risultato di trovarsi col dito semiparalizzato e con problemi vari a tutta la mano. Carriera pianistica andata a monte e menomale che lui era sufficientemente dotato per dedicarsi alla composizione.

Passiamo al sacrificio emotivo. A volte può essere frustrante studiare ripetutamente noiosi esercizi o non riuscire, nonostante gli sforzi, ad ottenere i risultati desiderati. Però, a meno di non avere un insegnante psicotico o pedagogicamente incompetente, il disagio emotivo è di solito tollerabile. Avevo un insegnante che era, pur con i suoi difetti, un buon insegnante e che ogni tanto "svergognava" di fronte a tutti quegli studenti che lui reputava bravi, allo scopo di spronarli. "Come?? Non sai quando è stato il Concilio di Trento???" Non era piacevolissimo trovarsi in quella situazione - quando si viene ripresi non è mai piacevole - ma non era di certo umiliante né si veniva offesi. Niente a che vedere con quello che si vede nel film.

E ora l'aspetto relazionale. Bah, io di musicisti eremiti non ne conosco. E voi risponderete: beh se stanno nel loro eremo non li conosci di certo. A parte gli scherzi, se un impiegato lavora otto ore e ha tempo per avere amici e famiglia, perché non dovrebbe avere tempo per le relazioni un musicista professionista il cui lavoro consiste nel suonare otto, nove ore al giorno? Ci sono, è vero, delle fasi in cui ci si dedica al 98% del tempo allo studio ma insomma dai, a me sembra che i musicisti, anche famosi, han tutti amici, famiglie e quant'altro. Che poi, il jazz (visto che in Whiplash si suona il jazz) è una musica che si fa prevalentemente non in solitaria. I grandi jazzisti passavano le nottate a suonare assieme e a imparare uno dall'altro.

E ora concentriamoci un attimo sulla seconda parte di quella frase: tutti 'sti sacrifici bla bla per l'arte.
Ecco, esattamente dov'è che si parla di arte nel film?

[Silenzio. Sterpaglia che rotola nel deserto]

No perché a me non sembra proprio che nel film si parli di arte, quanto piuttosto di tecnica spinta all'estremo e sfociante nel virtuosismo. L'arte è qualcosa di diverso, l'arte è un'intuizione, un pensiero che altri non hanno avuto, una palla buttata qualche metro più in là oltre il confine dell'esplorato.

La sterpaglia si chiama "rotolacampo".
Eccola nel particolare di una foto di Jez Arnold
Certo, la tecnica è fondamentale, nessuno lo nega. Se mi metto a cantare l'aria della regina della notte, tratta dal Flauto Magico di Mozart, dovrò avere una tecnica mostruosa (e non solo) per rendere al meglio il senso artistico e non sembrare un volatile starnazzante.

Ma non bisogna pensare che la tecnica sia la cosa più importante. I grandi musicisti, soprattutto nel jazz dove c'è meno distinzione tra interpreti e compositori, anche se erano dei virtuosi, non sono mica entrati nella storia per quel motivo. E ci sono diversi grandissimi musicisti, come Thelonius Monk o Miles Davis che non erano nemmeno così eccelsi dal punto di vista tenico eppure sono lì, col nome scritto a lettere di fuoco nella storia della musica.

Fletcher, secondo me, di arte non parla mai.

Ed eccoci arrivati al nostro professore. Non sfuggirà al becco della CineCivetta!

In una scena, l'esimio parla di come il suo metodo serva a tirare fuori il meglio dagli allievi e, a riprova di questo fatto, narra di come una volta Joe Jones abbia lanciato un piatto in testa a Charlie Parker, durante un concerto, rischiando di decapitarlo. A detta di Fletcher, è stato proprio questo fatto a far scattare la molla in Parker che si è messo a studiare come un pazzo raggiungendo livelli eccelsi di bravura. Se Jo Jones avesse detto a Parker:"Buon lavoro (good job)", l'altro non sarebbe diventato il grande musicista che è diventato.

Non so da dove partire per smontare questa sequela di cazzate. A parte il fatto che probabilmente Fletcher deve aver visto qualche volta di troppo il film "Goldfinger", dove il cattivo asiatico uccide la gente lanciando il suo cappello la cui tesa è una lama affilata. Non si spiega altrimenti la trasformazione dell'aneddoto su Jones e Parker. Intanto Parker stava suonando male, durante quel concerto, quindi dirgli "good job" sarebbe stato assurdo. Inoltre Jones gli lanciò un piatto ai piedi e, a quanto pare, non con rabbia ma come per dirgli:"per stasera basta". L'episodio era quindi un tantino diverso da come la racconta Fletcher. Come se non avesse già abbastanza difetti, il nostro prof è anche un gran cazzaro.

Questo è il cattivo Odd Job il cui
nome ha una curiosa assonanza con
il termine "good job". Forse per quello
Fletcher si è confuso.
Mi piacerebbe proprio sapere se c'è qualche musicista famoso che ha avuto un insegnante della risma di Fletcher e che grazie a quell'insegnante è diventato un grande. Secondo me non ce ne sono.

Inoltre, secondo Fletcher, se non fai come fa lui, che usa il metodo del bastone, vuol dire che stai usando il metodo della carota. Quindi fare come fa il coach Carter significa usare il metodo della carota.

Dire a un allievo:"No, guarda, non va bene come suoni" significa essere morbidi e usare il metodo della carota.

Fletcher ama il metodo del bastone che è l'unico che funziona, secondo lui. A parte che più che "del bastone", sembra il metodo della mazza chiodata. Della serie, diamo dieci mazzate all'allievo, se sopravvive bene altrimenti avanti il prossimo. Più che un metodo di insegnamento, a me questa sembra una tecnica di combattimento adatta a qualche troll uscito da World of Warcraft.

E il nostro Fletcher si lamenta di non aver mai trovato tra i suoi allievi un Charlie Parker o un Louis Armstrong. Ma pezzo di un cretino che sei! Sarebbero potuti esserti passati sotto il naso 20 o 30 di musicisti del genere che non te ne saresti neanche accorto, preso com'eri dalle tue cacchiate sadiche.

Quindi chi vince la tenzone?
Il professore severo ma corretto che ti insegna non solo la sua materia ma ti dà una visione più ampia delle cose e che trasuda rispetto da ogni poro così che tu dai il massimo per poterti sentire dire Bravo! da lui, perché sai che un suo "bravo" non è detto tanto per dire
oppure
Il "professore" pazzo che dovrebbe insegnare musica e invece non sa neanche dove la musica stia di casa (perché se lo sapesse, qualcosa di significativo e intelligente te lo avrebbe detto) e che non merita neanche un atomo di rispetto?

Domanda retorica.

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