giovedì 30 marzo 2017

Gli invisibili

Gli invisibiliNel film di cui parlo oggi, Richard Gere interpreta un senzatetto. All'inizio egli occupa abusivamente un appartamento sfitto; dopo che ne viene buttato fuori, passa qualche giorno per le strade e in seguito va in un centro accoglienza.

La visione di questo film mi ha reso perplessa. Se si vuole parlare dei senzatetto e sensibilizzare gli spettatori, credo che bisognerebbe essere un tantino più espliciti e crudi rispetto a quello che si vede in questa pellicola.

Il personaggio di Gere è trasandato ma non troppo; certo, lui non dorme nei cartoni e si presume che, prima di esserne buttato fuori, si lavasse nell'appartamento. Ma non ha comunque né lavoro né soldi e quindi: chi gli taglia i capelli? Come si procura da mangiare? La cosa rimane vaga. Solo al minuto 95 lo si vede per la prima e unica volta sgarfare in un bidone in cerca di cibo mentre al minuto 100 lo si vede elemosinare senza successo.

Più che un senzatetto a me sembra uno che è rimasto chiuso fuori di casa e deve aspettare qualche giorno che gli vengano ad aprire. Non si percepisce veramente il freddo, la stanchezza, la fame, la sporcizia, la solitudine.

OK, non per forza la sofferenza deve essere plateale e diciamo che questo personaggio non è il clochard che vive e dorme in stazione per cui ci si vuole concentrare, piú che sull'aspetto fisico/pratico, sul disagio psichico di chi si trova ad aver perso tutto, forse anche la dignità.

Sinceramente, nemmeno la rappresentazione di questo aspetto mi è sembrata tanto convincente. Gere è uno che parla poco e interagisce poco. La sua storia passata è appena accennata, anche se si capisce che sono parecchi anni che vive allo sbando. Il fatto è che lui sembra una persona triste e depressa ma non diversamente da come potrebbe esserlo uno che ha appena perso il lavoro o la cui moglie se ne è appena andata o che, come effettivamente accade nel film, non riesce a riallacciare il rapporto con la figlia.

Secondo me non è tanto la figura di Gere a essere interessante in questo film, quanto piuttosto altri tre personaggi che hanno una breve parte.

Uno è un ragazzo che sta nel centro accoglienza e dice di avere un lavoro:"Solo perché dormo in questo fottuto letto non significa che sono come quella fottuta feccia spregevole che chiede l'elemosina per le strade". Questa potrebbe essere una menzogna, molti senzatetto mentono a quanto pare. Anche Gere non ammette, quasi nemmeno con se stesso, di essere un senzatetto. Comunque, menzogna o no, ci sono davvero molte persone che vivono nei ricoveri nonostante abbiano un lavoro. Ecco, questa cosa forse avrebbe meritato un po' di approfondimento.

Poi c'è una donna che gira con un carrello della spesa dove tiene le sue cose e si arrangia in vari modi tra cui, se non ho capito male, la vendita di lattine usate. Ha un passato di abusi familiari e ha deciso di non voler più stare nei ricoveri perchè anche lì era vittima di violenze. In questa donna si vede la sofferenza di una vita allo sbando e la mancanza di speranza: una vita così, difficilmente migliora. Eppure c'è in lei quella tenacia che le consente la sopravvivenza. Questa donna, nonostante tutto, si aggrappa alla vita.



Infine c'è un uomo che si attacca a Gere come una cozza e gli parla, parla, parla quasi ininterrottamente raccontandogli ogni sorta di aneddoti più o meno fasulli. In questo uomo ci ho visto la solitudine e il tentativo di combatterla attaccandosi alle persone, in maniera anche invadente, senza remore di inventare fesserie pur di avere considerazione. La solitudine l'ho percepita più in questo uomo che non nel personaggio di Gere.

I primi due personaggi occuperanno 4 minuti di film in tutto, mentre il terzo ha un po' più spazio, ma non troppo. In tutto il resto del film c'è praticamente solo Gere (troppo riconoscibile) che quasi non dice niente. Una panoramica più ampia del mondo dei senzatetto non avrebbe guastato.

Poi, altra cosa: in almeno metà delle inquadrature, Gere e alcuni dei suoi interlocutori sono ripresi o attraverso un vetro, o in un riflesso, o attraverso una porta semichiusa. La domanda è: ma perché?? Perché fare delle inquadrature ricercate con effetto quasi fighetto se si vuole esprimere il disagio dei personaggi? Non dico mica che bisogna fare delle brutte inquadrature però bisogna anche trovare lo stile adeguato. Caro regista, se mi fai un film serio sui senzatetto, non me li puoi riprendere come fossero degli hipster bohémien.

Tipica inquadratura di Gere dietro un vetro
Ecco, già che ho citato i bohémien, nel film c'è pure una scena in cui Gere suona il piano. Mi aspettavo quasi che Julia Roberts facesse l'ingresso in scena, per una rimpatriata di Pretty Woman. Inoltre, per rimanere in tema di cose che ci azzeccano poco con la storia, cito anche una scena in cui il senzatetto Gere fa sesso con la donna del carrello, di cui ho parlato sopra. Bene, dopo il sesso, si vede Gere nudo sotto la coperta. Ma vi sembra credibile che due persone, la cui intenzione non è propriamente delle più romantiche, si spoglino per fare sesso all'aperto, al freddo? Cioè, non sono mica due fidanzatini in Central Park, sotto le stelle d'estate! E per giunta, nella scena dopo, si vede Gere nudo ma con le mutande! L'unica cosa che, insieme ai calzoni, avrebbe dovuto perlomeno abbassare. No, nudo ma con le mutande.

Queste sono cose che mi ricordano continuamente che sto vedendo un film e invece, soprattutto per questo tipo di storie, me ne dovrei almeno un po' dimenticare. Inoltre, se metti sempre dei vetri tra me e il protagonista, siamo sicuri, caro regista, che mi stai facendo vedere le cose dal suo punto di vista?

Mi viene in mente una barzelletta contenuta in un libro di Moni Ovadia. Durante un freddo inverno, un rabbino va da un ricco avarastro per farsi dare dei soldi per comprare il carbone per i poveri del villaggio. Il ricco invita il rabbino a entrare in casa ma questi rifiuta dicendo che si tratterrà soltanto un minuto. Invece inizia a fare una lunghissima conversazione chiedendo notizie particolareggiate su tutti i membri della famiglia dell'avaro. Il ricco, sulla porta, batte i denti dal freddo e invita continuamente il rabbino a entrare. Alla fine, quando il rabbino chiede i soldi per i poveri, il ricco dice:"Ma perchè non entra che ne parliamo al caldo?" E il rabbino:"Perché se ci mettiamo vicino al camino, staremo bene, avremo caldo e lei non riuscirà davvero a comprendere che c'è gente che soffre il freddo. Invece adesso, dopo aver battuto i denti per mezz'ora, lei riesce a capire meglio la situazione, giusto?"

Ecco, il regista avrebbe dovuto fare il film tenendo a mente questa storiella.

Sono forse troppo severa? Mi rendo conto che più scrivo e più mi infervoro però ho la sensazione che si sia persa un'occasione. Se dopo aver visto un film, ne so quanto prima e anche dal punto di vista emotivo non percepisco cose nuove, forse non è stato centrato l'obiettivo.

È tutto per ora, alla prossima cinecivettata.

2 commenti:

  1. In sostanza è l'ennesimo film patinato.
    Ma il titolo italiano è fedele o vuole richiamare la trasmissione di Marco Berry?
    L'idea delle riprese attraverso riflessi o specchi non è male, però.

    Moz-

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  2. Più che patinato, lo definirei radical-chic :-)
    Il titolo originale è "Time Out of Mind". Non so se abbiano voluto richiamare la trasmissione di Berry, cmq il senso ci potrebbe stare se il tema fosse stato trattato diversamente.

    La questione dei riflessi..mi piacerebbe capire perché hanno girato così. Visivamente è bello ma secondo me lo stile visivo non è adatto alla storia, la rende più finta. E se c'è un significato per questa scelta, mi piacerebbe sapere qual è.

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