martedì 30 ottobre 2018

Benedetta tristezza

L'altra sera mi son messa sul divano, ho acceso la tv e ho detto:"Mi guardo una commedia, così mi faccio quattro risate prima di andare a dormire". Vedo che danno Benedetta follia - l'ultimo film di Verdone - e dico:"Bene, 'na risata, un soriso, me li faccio senz'altro".

Invece niente, man mano che procedevo nella visione, mi sono accorta che mi sarei potuta rispondere come il becchino di Bianco, rosso e Verdone: "Qui c'è poco da ridere". Ma oltre a non ridere, avvertivo un progressivo senso di fastidio e nervosismo.

Consideriamo innanzitutto il personaggio di Ilenia Pastorelli, la solita coatta esagerata col cuore d'oro: ma ancora dovrebbe far ridere un personaggio del genere? Dopo che ne abbiamo visti a bizzeffe? Lo stesso Verdone ha già proposto Ivano & Jessica e i similari Moreno & Enza, per dire.

Ma poi quello della Pastorelli è un personaggio assurdo, inverosimile, che pare non avere percezione di dove si trovi.
Dovrebbe far ridere il fatto che si presenti vestita da discoteca a chiedere lavoro nel negozio di articoli religiosi gestito da Verdone?
Dovrebbe far ridere che, mentre cerca di farsi dare un lavoro, dica che proprio in quel momento le sono venute le sue cose e che mandi Verdone in farmacia a prenderle gli assorbenti con le ali?
Dovrebbe far ridere che accompagni Verdone in un palazzo ecclesiastico e si faccia cento selfie con una guardia svizzera? Una cosa del genere la faceva Mr Bean venticinque anni fa con una guardia della regina. E faceva decisamente più ridere.

Verdone stesso ha fatto personaggi assurdi nella sua carriera, ma erano più originali e in ogni caso più divertenti. Lei sembra che stia lì soprattutto per aumentare la quota sexy del film.

Uno potrebbe obiettare dicendo che Verdone cerchi di fare film che non siano solo da ridere e che cerchi invece di andare un po' più a fondo nella psicologia dei suoi personaggi mostrandone i lati problematici o malinconici. Vabbè, io rispondo che questo lo faceva anche all'inizio, nei film puramente comici. I personaggi di Verdone sono tutti in qualche modo disagiati, a partire dal solitario Enzo-no-Renzo che chiama tutti i numeri della sua rubrica telefonica alla ricerca di qualcuno che lo accompagni a Cracovia, al timido Sergio di Borotalco, dal gruppo di personaggi disastrati del bel Compagni di scuola, all'ansioso e ipocondriaco protagonista di Maledetto il giorno che ti ho incontrato (lasciato dalla compagna proprio come nel film oggetto di questo post), o all'incasinato personaggio de Il mio miglior nemico. Forse solo i personaggi alla Furio e Raniero non sembrano passarsela male.

Quindi si può far ridere e al contempo rappresentare le miserie dei personaggi. Una cosa non esclude l'altra.

Comunque, non è che bisogna obbligatoriamente far ridere. Si può tranquillamente fare un film senza dover calcare il pedale della commedia, basta però deciderlo prima. Qui siamo di fronte a un film che avrebbe l'intento di far anche ridere ma che secondo me non ci riesce. E il risultato è che ti smonta come una barzelletta fiacca.

C'è poi la strizzata d'occhio al moderno, al contemporaneo. Cos'è oggi il contemporaneo? Gli smartphone e le app, ovviamente. E cosa c'è di più moderno e contemporaneo che usare un'app di appuntamenti per conoscere una persona con cui passare una piacevole seratina o con cui sperare in qualcosa di più serio?

Naturalmente questo spunto viene utilizzato soltanto per inscenare tre sketch uno peggio dell'altro. Nel primo Verdone passa la serata con una sguaiatona dal forte accento regionale, amante dell'alcol e desiderosa di passare all'azione. Una macchietta imbarazzante più che divertente.

Il secondo sketch vede Verdone rompersi le palle durante una serata passata con una super ipocondriaca, interpretata da una sprecata Minaccioni, che gli racconta per filo e per segno le sue peripezie sanitarie. E se Verdone non ne può più, non ne potevo più manco io. Noioso.

Il terzo sketch è il più pietoso di tutti e degno del più becero cinema italico (e non solo). Verdone va a cena con un'altra sessuomane che gli prende il telefono - uno smartphone grande come una piastrella - e se lo inserisce proprio lì, avete capito dove. Naturalmente arriva una chiamata, il telefono si incastra e a Verdone tocca pure sostenere la conversazione telefonica in una posizione imbarazzante. A parte la poca credibilità della cosa, ma la tristezza! Verdone dice che in quella scena hanno riso anche persone particolarmente bigotte, ma qui non è questione di bigottismo, ma di umorismo che è di grana no grossa. Grossissima proprio. Forse sono delusa perché apprezzo Verdone e da lui mi aspetto un livello minimo di default.

Verdone dice che è sempre più difficile far ridere la gente. Va bene, io ci credo, ma non so se la situazione si risolve proponendo personaggi caricaturali e situazioni troppo assurde e già viste. Se proprio vuole utilizzare anche il macchiettistico, che lo faccia lui e non si affidi ad altri interpreti.

Ma forse non ci capisco niente io, dal momento che il film sembra aver avuto in gran parte elogi e recensioni positive.

Fatto sta che al termine della visione non ero soddisfatta.

Mi sono intrattenuta più piacevolmente qualche sera dopo, quando ho visto 3 fusti, 2 bambole...e 1 tesoro, dove in realtà l'unico fusto è Elvis nei panni di uomo rana, che tra una canzone e l'altra disinnesca mine giapponesi con una chiave inglese.

Volevo vedere se togliendosi la muta da sub, gli si sarebbe scompigliata la lucida chioma. Purtroppo non si vede mai il momento della svestizione, ma sono certa che sarebbe stato impeccabile, un po' come James Bond quando si toglie la muta da sub e sotto ha lo smoking perfettamente inamidato.

E poi, momento di grande cinema: Elvis che, sotto la guida della maestra Elsa Lanchester, si cimenta nello yoga e canta:

"How can I even move, twistin' like a pretzel
You tell me just how I can take this yoga serious
When all it ever gives to me is a pain in my posteriors"


Elvis durante una sessione di yoga insieme a un gruppo
di quelli che vengono definiti beatnik

Mi basta poco per mettermi di buon umore e questi filmetti anni '60 di solito ci riescono. Non so come sono arrivata a Elvis, ma forse Verdone mi ha lanciato un messaggio subliminale:


Uno se tiene un mattone sullo stomaco, che pesa. Però arriva un momento in cui dice:"ABBASTA"
Io sono il figlio naturale di Elvis Presley!

venerdì 19 ottobre 2018

Leggere per vincere (o anche solo perché ci piace)

C'è un libro che possiedo dal 1994.
Ellapeppa, che precisione. Come mai sfoggio tanta certezza sulla data?
Presto detto: il libro era in allegato a una rivista e con esso si poteva partecipare a un concorsone dal titolo Leggere per vincere. Bisognava portare il libro ancora incellofanato presso una concessionaria di una famosa marca automobilistica dove il signor concessionario avrebbe provveduto a scellofanare il libro davanti a te e a controllare cosa c'era scritto nel paragrafo in grassetto a pagina 8. Se c'era scritto "Hai vinto", avevi vinto.

Tutta speranzosa, portai il libro al signor concessionario che lo scartò e andò a pagina 8. Il paragrafo in grassetto era questo:
"Nico!" Gli stringo la mano. Porta un fiore all'occhiello; è un'abitudine che ha preso da quando è diventato candidato. Chiede di mia moglie e di mio figlio, ma non aspetta la risposta. Assume subiro un'aria di tragica sobrietà e comincia a parlare della morte di Carolyn.
Al che, ho arguito di non aver vinto niente. Ma "la fortuna era ancora in lista d'attesa": bastava compilare un tagliando e partecipare così all'estrazione con cui si poteva vincere i premi non assegnati che consistevano in una macchina nuova, un viaggio per due persone per assistere a una partita USA '94 e un'autoradio.

Non ho vinto nessuno dei tre premi, ma la copia del tagliando è rimasta tra le pagine per tutti questi anni. La data in cui è stato compilato è il 20 aprile 1994.

Il libro protagonista di questo aneddoto è Presunto innocente di Scott Turow e non lo avevo mai letto fino a quest'anno. Ne avevo sempre avuto l'intenzione, ma giuro che non so per quale motivo ho rimandato così tanto. Il libro ha vagato per diverse case, è finito in scatole e soffitte, a volte è riuscito ad avvicinarsi al comodino accanto al letto ed aveva quindi buone speranze di essere iniziato, dal momento che di solito leggo la notte, prima di dormire. Invece niente, così come si avvicinava al comodino, ne finiva sempre allontanato.

E per questo motivo ho sempre rimandato la visione dell'omonimo film. Di solito, quando esiste l'accoppiata libro/film, preferisco vedere prima il film e poi leggere il libro, così non mi faccio troppo influenzare dalla lettura. Cerco di capire se il film funziona in quanto opera a se stante e poi al limite leggo il libro.
Per i gialli però le cose sono diverse. Un film lo guardo in due ore, mentre ci metto più tempo a leggere un libro. Se impiego sette o otto ore per la lettura, spalmate in più giorni, preferisco decisamente non sapere chi è il colpevole. La tensione mi deve durare per tutte quelle ore! E quindi, se avessi già saputo l'identità dell'assassino, la tensione sarebbe in parte scemata.

Chiaro che anche quando si guarda il film sarebbe meglio non sapere prima quella che sarà la rivelazione finale, ma un film può avere altri modi di mantenere la suspense, non ultimo il fatto di essere pensato per essere guardato in un'unica sessione.

Quindi per 24 anni, ogni volta che in tv passava Presunto innocente, io immediatamente cambiavo canale ed evitavo la visione dicendo:"nononononono (alla Zohan), devo prima leggere il libro!"

Alla fine mi sono decisa e, usando il tagliando non vincente come segnalibro, mi sono fatta strada attraverso le 285 pagine del tomo. La lettura è avvincente, il testo ben scritto. Potrebbe essere definito un solido legal-thriller. Forse il finale mi ha pò deluso, mi sembrava vanificare un po' l'intreccio, ma vabbè; sono quasi incontentabile coi finali.

La storia vede come protagonista il viceprocuratore della Contea di Kindle (sarà una contea in cui si legge molto?) alle prese con l'omicidio di una collega ed ex-amante; comincia le indagini ma poco dopo si ritrova principale indiziato.

All'inizio ero un po' spaesata perché dovevo prendere confidenza con i personaggi e i loro maneggi legal-politichesi, i loro altarini, gli accordi e i compromessi. Poi però la storia mi ha preso e mi sono trovata ben coinvolta in questa complicata rete di rapporti tra poliziotti, giudici, avvocati, procuratori. Turow è avvocato e si capisce che se ne intende di quel che scrive.

Mentre procedevo nella lettura, mi chiedevo quali attori avrebbero interpretato i personaggi del libro. Sapevo solo che il protagonista principale era impersonato da Harrison Ford, ma se devo essere sincera, mentre leggevo non riuscivo a immaginarmi la sua faccia. A dire il vero, non riuscivo a immaginarmi nessuna faccia specifica per questo protagonista, forse perché la storia è narrata in prima persona e quindi l'aspetto interiore del personaggio è preponderante, mentre quello esteriore molto meno presente. Credo che la narrazione in prima persona faccia diventare il narratore quasi trasparente.
In ogni caso, c'è un accenno all'aspetto fisico del protagonista: "il naso grosso e le arcate sopracciliari sporgenti come quelle di un uomo di Neanderthal". Ahah, a Harrison Ford deve aver fatto proprio piacere!

Ma devo dire che, in generale, anche quando gli scrittori descrivono i personaggi in maniera precisa, non è detto che la rappresentazione mentale che me ne faccio corrisponda a quello che leggo e spesso sono condizionata da immagini che ho acquisito da altre parti. E la prima immagine mentale che mi viene di un personaggio, mi rimane poi appiccicata fino alla fine, anche se non è per niente corrispondente alla descrizione, come vedrete alla fine del post.

Il personaggio della vittima viene descritto come avente "un torrente di capelli biondi, quasi niente didietro e un seno molto colmo, [,..] con unghie lunghe e rosse". Una donna che non si può non notare e che attira gli sguardi di tutti gli uomini. Ma anche una donna "maledettamente dura" che si occupa di casi difficili e a cui piacciono le luci della ribalta. Io tutto il tempo mi immaginavo Sharon Stone, che dal punto di vista fisico corrisponde alla descrizione solo il per colore dei capelli, ma che mi sembra però adatta a rappresentare il connubio tra cervello e sensualità. Il ruolo nel film è interpretato da Greta Scacchi (e su imdb spiegano come pronunciare il suo cognome: "skacky").

C'è una certa somiglianza, però

Poi c'è il poliziotto amico del protagonista, alto un metro e sessantasette, pesa cinquantaquattro chili dopo un pasto completo, si pettina in modo buffo e ha [..] l'aria da piccolo delinquente". Io figuriamoci se mi sono creata una immagine mentale corrispondente alla descrizione. Macché, io mi figuravo nientemeno che David Morse che è praticamente l'esatto contrario di un tipo bassetto e smilzo. Tutto perché ne Il miglio verde Morse faceva il poliziotto affidabile (nonché amico del protagonista). Beh menomale che nel film c'era un John Spencer molto più in parte.

Chi è pettinato in modo più buffo?

Il personaggio del procuratore nonché capo del protagonista è descritto in maniera meno precisa. Si accenna ai "lineamenti massicci [..]atteggiati in un'espressione di solennità e coraggio e una sfumatura di tristezza". Inoltre,"è ingrassato e ha assunto un'espressione perennemente torva". Brian Dennehy credo sia la scelta giusta per questo ruolo, ma io tutto il tempo mi immaginavo Harry Yulin.

Dennehy, sulla sinistra, corrisponde meglio alla descrizione del libro

Poi c'è l'esperto avvocato difensore: "basso, rotondetto, vestito in modo impeccabile. Pochi capelli sparsi gli attraversano la cute rosea e lucida". Io mi immaginavo qualcuno sullo stile di David Paymer, mentre nel film c'è il bravo Raul Julia che ci dà il giusto tocco latino e suadente, in sintonia con le origini effettive del personaggio. Devo dire che qualcosa nel look di Raul Julia mi ricorda Lillo in Normalman.

Avvocati a confronto

Il personaggio del carismatico giudice che presiede al processo viene descritto come "bello, vivace, straordinariamente imponente. [..] alto poco più di due metri e robusto in proporzione. Ha i capelli di media lunghezza, pettinati all'africana e quasi tutti grigi, la faccia grande, le mani enormi e un'oratoria principesca, la voce sonante dai toni molto mascolini". Io mi immaginavo qualcuno di corpulento ma anche più minaccioso di quello che poi è in realtà il personaggio. Qualcuno sullo stile di Danny Glover o addirittura Richard Gant. Ma non sfigura nel film Paul Winfield.

Glover, Gant e Winfield

Però dove veramente, ma veramente, ho deragliato è nella mia immaginazione mentale dei ruoli degli avvocati Nico Della Guardia e Tommy Molto. Dai nomi è evidente che sono due italoamericani. Il primo "è sulla quarantina, di media statura, sempre lindo e azzimato. [..] brutta carnagione e aspetto un po' stridente (capelli rossi, pelle olivastra e occhi chiari)". Il secondo, che è una specie di braccio destro del primo, "è alto un metro e sessantasette, [..], pesa dodici o quindici chili di troppo, ha la faccia butterata e le unghie rosicchiate". Anche nel film non sono andati troppo sul preciso (anche perché la descrizione del primo sembra quella del padre di Ron Weasley). Ecco la foto degli interpreti:


Ma nella mia testa, due italoamericani, di cui il primo ambizioso e sempre pronto a mettersi in mostra e a parlare in pubblico e il secondo, un sottoposto schivo e allampanato, potevano forse apparire diversi da così?

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Dopo questa, l'udienza è tolta.