venerdì 12 aprile 2019

The Black Hole

In uno scatolone della mia soffitta, giacciono tutta una serie di libretti illustrati della Disney appartenenti alla collana "Imparo a leggere con Topolino". Sono libretti di una quarantina di pagine ciascuno e sono una sorta di trasposizione semplificata di famosi lungometraggi Disney quali ad esempio Bambi, Bianca e Bernie, Biancaneve, Peter Pan, Dumbo oppure anche di corti come Pierino e il lupo o La gallinella rossa. Ce ne sono anche di quelli che raccontano storie più o meno famose, ma sempre in chiave disneyana.

Quando ero piccola, questi libretti me li leggevo e straleggevo; si può dire che sono i primi libri che ho letto. Tra questi, ce n'era uno che mi appariva diverso dagli altri perché raccontava la storia di un film di cui non avevo mai sentito parlare e anche perché i disegni non erano quelli classici disneyani.

Il libretto si intitolava Black Hole ed era una versione semplificata del film The Black Hole del 1979 (non so perché nel libretto sia stato eliminato l'articolo, forse faceva troppo inglese).

Il film l'ho visto per la prima volta diversi anni dopo, credo da adolescente, un po' perché è uno di quei film che non vengono dati troppo spesso, un po' perché non è un film del tutto destinato a un pubblico infantile.  

The Black Hole è infatti il primo film Disney ad avere il marchio PG e si colloca in un filone, allora nascente per la casa del Topo, in cui i film presentavano tematiche un po' più adulte e complesse.

Come si è intuito, la storia è ambientata nello spazio, dove l'astronave Palomino vaga "alla ricerca di nuove forme di vita su altri pianeti". Dopo mesi e mesi di viaggio, la Palomino "sta tornando a mani vuote sulla Terra".

I componenti dell'equipaggio sono i seguenti:


Capitano fascinoso

Pilota belloccio

Dottoressa paragnosta
con poteri ESP

Il dr.
PsychoSpock  Durant
dalle segrete ambizioni
di grandezza

Borgnine in maglione,
credevo fosse il
meccanico di bordo,
invece fa il giornalista

V.I.N.CENT, il robot
fluttuante dalle mille risorse
V.I.N.CENT è un robottino dall'aspetto piuttosto fumettoso, soprattutto nella faccia. Snocciola massime e aforismi che neanche Oscar Wilde e si dimostra molto sicuro di sé, anche se ogni tanto si fa prendere dal panico e ritrae la testa nel corpo a mo' di tartaruga. Da piccola non riuscivo a convincermi che il robot si chiamasse proprio VINCENT: con quell'aspetto lì, avrebbe dovuto chiamarsi lui Palomino, non l'astronave!

Comunque, mentre la navicella Palomino fa rotta verso la Terra, si imbatte inaspettatamente in un'enorme nave spaziale misteriosamente "parcheggiata" praticamente sul ciglio di un grande buco nero. Consultando il personale archivio digitale di VINCENT, salta fuori che si tratta dell'astronave Cygnus, già da vent'anni data per dispersa.  

(Il nome Cygnus è stato scelto dai creatori del film perché il primo buco nero che è stato "scoperto" si trova nella costellazione del Cigno e che non è quello che è stato fotografato in questi giorni)

La Palomino riesce ad agganciarsi alla Cygnus la quale sembra essere dotata di un campo gravitazionale tutto suo che le consente di non venire risucchiata dal buco nero. A bordo della Cygnus, l'unico superstite dell'equipaggio originario pare essere il dottor Hans Reinhardt, uno scienziato (al limite del pazzo) che non ha intenzione di ritornare sulla Terra, come gli era stato ordinato già anni addietro, ma ha anzi intenzione di tuffarsi dentro il buco nero. Vuole assolutamente andarci dentro e attraversarlo e vedere un po' cosa c'è oltre. Per lui "impossibile è una parola che si trova solo nel dizionario degli scemi". Se lo dice lui...

"Me ne frego delle autorità! Se le autorità
avessero detto a Colombo di tornare indietro
subito prima che lui scoprisse il Nuovo Mondo,
voi non esistereste nemmeno!"
Così dice il dottor Reinhardt, vestito con
un elegante completo rosso
Il dottor Reinhardt si è costruito un equipaggio di robot che lo aiutano a governare l'astronave e che svolgono per lui tutta una serie di compiti diversi. I robot sono essenzialmente di due tipi: quelli color rosso scuro, addetti principalmente alla sicurezza e al lavoro di manovalanza, e quelli paludati in ampi mantelli scuri, con guanti sulle mani e in testa casco a specchio tipo astronauta. Questi ultimi robot stanno quasi sempre seduti alle postazioni di guida, a premere bottoni e controllare schermi.

Poi c'è lui: Maximilian - il grande e fluttuante robot rosso dalle mani a forma di frullatore a immersione.  Maximilian è una specie di braccio destro/guardia del corpo dello scienziato pazzo. Di più: è una specie di capo robot supremo che controlla tutto e non si fa tanti problemi a disobbedire agli ordini e a fare un po' quel cavolo che gli pare, tanto che pure lo scienziato ne è a un certo punto intimidito.

A sinistra, un'immagine del film, dove si vede l'occhio rosso di Maximilian che pulsa minacciosamente, soprattutto quando succede qualcosa che non gli sconfinfera.
A destra, Maximilian in una illustrazione tratta da "Black Hole" edito da Mondadori

La situazione inizia a ingarbugliarsi: il dottor
PsychoSpock  Durant vorrebbe andare insieme allo scienziato pazzo dentro il buco nero, mentre altri membri della Palomino fanno una scoperta agghiacciante: i robot col mantello nero non sono veri robot, ma sono i membri dell'equipaggio della Cygnus che, tramite procedure misteriose, sono stati privati della volontà e sono quindi alla mercé del dott. Reinhard. Anche se non viene mai usato il termine, questi uomini sono in pratica degli zombi. (E, se volete saperne di più su zombi e fantascienza, potete leggere gli articoli sul blog "nonquelmarlowe", ad esempio questo, che parla di zombi e Star Trek)

Cosa succederà? Chi andrà dentro il buco nero? Cosa vedrà? Ed è vero che è possibile uscirne? A voi spettatori il compito di entrare nel black hole e gustarvi il surrealistico finale.

Il film non è un capolavoro, inoltre le scene di azione/combattimento sono piuttosto infantili anche perché i robot rossi hanno una prontezza e una precisione di tiro perfino inferiore a quella delle truppe d'assalto dell'Esercito imperiale (altrimenti conosciute come stormtroopers). Per non parlare poi di tutta una serie di cose impossibili e inverosimili che accadono soprattutto nella parte finale, tipo personaggi che escono e entrano dalle astronavi così, senza casco, come se fossero su un tram.

Eppure, questa pellicola ha davvero un suo fascino tutto particolare. In primis c'è l'aspetto fantascientifico di stampo retrò che ha un'attrattiva tutta sua: all'epoca il futuro spesso era immaginato come qualcosa di ordinato, simmetrico, silenzioso, dove la sensazione di isolamento e solitudine spicca piuttosto bene e l'ambientazione spaziale acuisce ancora di più questa sensazione.

Poi c'è il tema del rapporto tra uomo e macchina, sempre in qualche modo conflittuale. Questo argomento magari non è sviscerato così a fondo, ma non è neanche l'obiettivo del film. Comunque si percepisce.

Inoltre il film è girato benissimo, con un gusto notevole per le inquadrature, gli effetti di luce, le ambientazioni. Per molte scene sono stati utilizzati fondali dipinti ma la cosa non si nota facilmente. L'effetto mi pare più realistico che non quello che si vede in certe schifezze fatte in CGI.

Ampie prospettive

Meteore globulari

Sala di controllo con misteriose figure nere

Palla alla Indiana Jones però di fuoco

Inoltre la colonna sonora scritta da John Barry è molto bella e contribuisce a creare l'atmosfera tesa e misteriosa della storia perché si abbina bene alle immagini. Il tema principale poi è riconoscibilissimo.

In questa illustrazione tratta dal libro Mondadori,
il pilota belloccio sulla destra è molto simile all'attore
del film. Lo si nota anche in altre immagini.
Anche la dottoressa, che qui non appare,
è molto somigliante all'attrice, mentre il capitano,
sulla sinistra, è piuttosto diverso.
Dal punto di vista degli effetti speciali, all'epoca era stato fatto un grande sforzo. Certo, alcune cose sono parecchio datate, come ad esempio l'effetto dei laser delle pistole che è di un posticcio che più posticcio non si può.

Ma molte altre cose penso siano valide ancora oggi, anche perché sono state fatte con un certo gusto e significato, non tanto per fare sfoggio. Mi viene in mente anche la scena della distruzione della sala comandi della Cygnus: piuttosto spettacolare.

Il film non ha avuto moltissimo successo anche se poi in seguito si è formato un nutrito gruppo di estimatori. E tra questi mi ci metto. Se anche voi siete affascinati da un certo tipo di fantascienza (certo, anche un po' infantile per carità), fatevi coinvolgere dalla misteriosa atmosfera di questo film. Perchè lo so che vorrete vedere cosa c'è dietro il casco da astronauta dell'equipaggio zombi!

E attenti: che Maximilian, con il suo occhio rosso, vi osserva!








martedì 2 aprile 2019

Alea Film #1: il film d'autore

Eccomi qua, di ritorno da una tournée trionfale in tutta l'Europa, l'Oceania e la Polinesia del Sud. Dopo avere affrontato influenze, pc rotti, ansie, cavallette, cimici della soia eccetera eccetera, eccomi qua: riprendo possesso del blog con la prima puntata della rubrica dedicata alla casualità.

Fortunatamente, il sorteggio che ho eseguito mi ha evitato la visione di cinepattoni e soprattutto di pattume di stampo tronista e invece mi ha fatto beccare - udite, udite - un film d'autore e per giunta italiano e per giunta fiorentino.

Ecco, spero che adesso non pensiate a Pieraccioni anche perchè, verrebbe mai in mente a qualcuno di definire uno dei suoi film un film d'autore? Direi di no.

L'autore di codesto film misterioso è sì italiano, ma ha lavorato in larga parte in produzioni di stampo internazionale e nei suoi film sono apparsi parecchi dive e divi stranieri, ad esempio Elizabeth Taylor e il suo consorte Richard Burton, il sommo Alec Guinness, Mel Gibson, Philippe Noiret, Brooke Shields, Faye Dunaway, Anna Paquin e via avanti.

Anche in questo film troviamo mucchi di grandi nomi, che sembra quasi di leggere la lista degli invitati alla notte degli Oscar. Ne cito subito qualcuno: Maggie Smith, Judy Dench, Lily Tomlin, Joan Plowright e perfino la diva delle dive: Cher.

A questo punto credo che abbiate pochi dubbi e avrete senz'altro capito che il film è di Zeffirelli Franco e il titolo è Un tè con Mussolini (1999).

La trama del film è parzialmente autobiografica perché è ispirata all'infanzia e alla prima giovinezza dello stesso Zeffirelli, durante gli anni della seconda guerra mondiale. Zeffirelli bambino (che però nel film si chiama Luca perché volutamente non c'è una perfetta corrispondenza tra la realtà e il film) viene in pratica allevato da un gruppo di signore inglesi che hanno scelto la Toscana - e Firenze in particolare - come patria d'elezione, per via della cultura e dell'arte che vi si respira.

Tra queste donne c'è anche una ricchissima americana, che naturalmente è Cher, che dà un aiuto economico al giovane Zeffirelli e lo introduce all'arte, dal momento che lei ne è molto appassionata e ha pure i mezzi per poter collezionare le opere dei pittori più famosi.

Un'altra del gruppo di queste donne (Maggie Smith) è una fan di Mussolini e vede in lui una sorta di novello imperatore romano. Tanta è la sua ammirazione che riesce persino a incontrarlo e a bersi un tè con lui, inondandolo di complimenti e stima imperitura. Lui promette di provvedere personalmente a che il gruppo delle signore inglesi non venga minimamente disturbato dagli accadimenti bellici. Si può fidarsi di tale promessa? Macché.

Il duce se ne strafrega assai delle siore inglesi la cui libertà viene sempre meno col passare del tempo e in particolare allo scoppio della guerra tra Italia e Inghilterra, quando poi le donne vengono trasferite in una scuola abbandonata a San Gimignano.

Detto tutto questo, a me sto film non mi sa né di carne né di pesce, non è né commedia né drammone. Non si può dire che sia fatto male ma se si allungava giusto un attimo, lo si poteva piazzare tranquillamente in prima serata su Raiuno come sceneggiato in due o tre puntate. E gli sceneggiati - di solito - non è che siano poi queste grandissime opere imperdibili. Te li guardi magari mentre leggi il giornale, fai la calza, giochi a Tetris. Non occorre che ci dedichi tutta l'attenzione.

Gli sceneggiati ti raccontano una storia in modo lineare, senza guizzi, senza stranezze, senza visioni registiche di un qualche tipo e questo film mi pare in linea con questo stile. L'idea di narrare il periodo bellico italiano da un punto di vista straniero poteva anche essere interessante, ma mi pare che Zeffirelli sia rimasto un po' in superficie e il risultato è che ci sono tanti personaggi, tante situazioni, ma niente che mi abbia veramente preso.

Il personaggio di Cher si innamora di uno che finge di amarla e invece pianifica di fregarle il patrimonio e consegnarla ai tedeschi. Quando Cher viene avvisata di questo piano malvagio, lei si rifiuta di crederci e si chiude in camera a piangere come una adolescente. Tutte le donne inglesi cercano di convincerla a fuggire ma lei no, non vuole. Arriva Maggie Smith, che per tutto il film non poteva sopportare la stilosa Cher e nel frattempo si è disillusa su Mussolini, e basta che le dica:"Dai fuggi, ci siamo fidati di uomini che si sono rivelati dei gran bastardi" che Cher fa la valigia in men che non si dica. Tic e tac, pathos pari a zero.

Almeno si fosse messa a cantare Cause I'm strong enough / To live without you / Strong enough and I quit crying. Avrebbe fatto un'uscita di scena migliore. Più frizzante, se non altro.

Nel cast c'è anche Massimo Ghini, nella breve parte dell'assai poco simpatico padre di Zeffi che sgancia sì la grana per mantenere il figlio, ma meno ce l'ha tra i piedi e più è felice. Questo padre è sposato con una donna che non è la madre di Zeffi e c'è una scena in cui Ghini è tutto agitato perché sta arrivando la moglie e non vuole che lei veda il bambino. Beh, sembra che Ghini stia facendo le prove per i futuri cinepanettoni perché ha la stessa recitazione che ha in seguito, in tali film, quando si agita perché la moglie sta per beccarlo con l'amante.

Un'altra cosa poi che non mi piace tanto è il fatto che la maggior parte degli attori è doppiata con voce perfetta e priva di inflessioni, ma ogni tanto spunta fuori qualcuno che parla con accento smaccatamente toscano oppure anche napoletano. Sembra quasi macchiettistico. Allora anche gli inglesi dovrebbero essere doppiati con la loro accentazione.

Bene, direi che su questa pellicola non ho altro da aggiungere se non che c'è una curiosa coincidenza che fa di questo film il degno iniziatore di codesta rubrica: il personaggio di Maggie Smith si chiama Lady Hester Random!