sabato 23 settembre 2017

Cell(ulite)

Già dal titolo del post si dovrebbe capire che ho gradito il film così come gradisco la cellulite sulle gambe, soprattutto sulle mie. Di cosa parla questo film e perché mai l'ho trovato così a buccia d'arancia?

Ebbene, la storia inizia in un aeroporto e quasi tutti sono al cellulare; anche chi è sulla tazza del water, grazie all'auricolare, non rinuncia a una telefonatina.

Entra in scena John Cusack, con una tinta di capelli alquanto imbarazzante e un trucco in faccia che sembra un mimo dopo che si è struccato ma ha ancora un residuo evidente. John non è che sei meno bravo se dimostri i tuoi 51 anni. Che poi, con quel makeup, sembra che di anni ne hai pure di più.

Improvvisamente, tutti quelli che sono al cellulare impazziscono: si contorcono, corrono in giro come invasati, sbavano roba che sembra bagnoschiuma per lumache e iniziano a far fuori chi trovano a tiro e, se non trovano nessuno, compiono atti di autolesionismo violento.

Già dopo cinque minuti si capisce il livello qualitativo alquanto basso del film. Questa scena concitata è realizzata in modo così dozzinale da risultare decisamente fasulla, nonostante la violenza. Comparse che si agitano qua e là, quasi improvvisando, riprese a scatti e montaggio frenetico per cercare di nascondere l'approssimazione. Una roba appena decente per uno show dimostrativo in un centro commerciale la sera di Halloween, non certo per un film hollywoodiano. Esilarante la scena di John, accucciato contro una colonna, che si dimena fingendo di evitare qualcosa che sembrano popcorn tirati a mano. Ciliegina sulla torta: il pessimo aereo digitale che si schianta nel terminal.

Proseguiamo. John riesce a scampare all'orrore (cinematografico) e si rifugia in un vagone della metropolitana dove si stanno nascondendo anche altre persone tra cui spicca lui, Samuel Jackson. Samuel dice che non si può rimanere nel vagone, bisogna cercare un modo per uscire all'aperto evitando quelli che, a causa del cellulare, sono praticamente diventati degli zombi.

Samuel, John e un anonimo ragazzo escono e si incamminano lungo le rotaie ma, dopo un minuto, gli zombi arrivano e fanno fuori il ragazzo: evidentemente era troppo anonimo per restare nel film.

Dopo qualche banale scena di raccordo, Samuel e John riescono a raggiungere l'appartamento di quest'ultimo. Siccome mancano le quote rosa, si manifesta alla porta una ragazzina, munita del solito Psycho coltellaccio col quale ha appena ucciso la madre zombi. Naturalmente, la ragazzina è vestita con una canotta bianca, altrimenti non si vede bene il sangue con cui è ricoperta.

John vuole andare nella casa dove stanno la sua ex moglie e il figlio, indi per cui il terzetto si mette in marcia, cercando di evitare le onnipresenti orde di zombi. Cala la notte e i tre, seguendo la provenienza di una musichetta, giungono a una scuola dove ad accoglierli c'è il preside e uno studente, gli unici del posto a non essere stati zombizzati.

Io sono Mike Hammer e uso il fisso
così non mi zombizzo.
Il preside (interpretato da Stacey Keach, il mitico Mike Hammer), li informa che la musichetta proviene dai cellulari degli zombi, i quali passano le notti distesi nel campo di football della scuola, intenti a guardare i loro telefoni e ad ascoltare la musica. Quando gli zombi si trovano in questo stato ipnotico sono insensibili a qualsiasi stimolo esterno ed è proprio questo fatto che dà al gruppo l'idea di come sterminare le immonde creature. In cosa consiste l'idea? Non ve lo dico, lo saprà solo chi avrà l'ardore di affrontare la visione di codesto filmaccio.

Perché sono così negativa nei confronti di quest'opera?
Perché aveva un'idea che poteva essere interessante e cioè l'invasività sempre maggiore che i cellulari e l'iperconnettività hanno nelle nostre vite, con conseguente effetto spersonalizzante e ruba-tempo.

L'altro giorno passeggiavo lungo una via e c'era un furgoncino che aveva fatto un parcheggio un po' troppo disinvolto impedendo a un megacorrierone di due piani di passare. Si era quindi formata una lunga fila di macchine e il blocco del traffico è durato almeno per il tempo che ho impiegato a fare la via a piedi. Ho notato che tutti i conducenti delle macchine, nell'attesa, guardavano il loro cellulare. Tutti.

Mi viene in mente il primo libro di Harry Potter, dove Ron Weasley diceva a Harry che a Bath c'era una strega che aveva un libro magico che non si riusciva a smettere di leggere, bisognava andare in giro col naso incollato alle pagine cercando di fare tutto con una mano sola. Ecco, secondo me, la strega di Bath si è aggiornata ed ha inventato gli smartphone.

Insomma, il tema poteva avere sviluppi interessanti, invece qui abbiamo il solito film di zombi, con le solite scene trite e ritrite, tipo persone che da dietro sembrano normali e invece; oppure zombi che saltano fuori dai soliti angoli oscuri (che novità); zombi pazienti che in uno sgabuzzino aspettano per giorni che arrivi il protagonista per potergli saltare addosso e così via.

Inoltre queste orde di zombi sono interpretate da comparse che a me sembrano tanto studenti ingaggiati tramite una qualche pagina facebook del tipo CercasiComparsePerFilmScemo (preferibilmente senza esperienza). Fanno tutto, ma proprio tutto, quello che fa parte del cliché di genere, come se il regista avesse detto:"Ok, fate gli zombi, sapete no come si fa?"

Forse non c'erano soldi per pagare dei professionisti, tutto il budget sarà andato a Samuel e John che perlomeno lavorano bene. Comunque oltre a loro due e alla coppia di ragazzini, tutti gli altri attori recitano per non più di 5 minuti.

Inoltre, ci sono anche elementi che secondo me sono inutili e confusionari, come quello che fa riferimento al capo-zombi e che sembra in qualche modo legato al personaggio di John. Cose buttate lì tanto per. E poi, perché in un film del 2016, la maggior parte dei cellulari che si vedono non sono smart (vedasi la scena del mucchio di telefoni fumanti)?

Insomma basta, il verdetto finale è: film bucciato d'arancia su tutta la linea.


giovedì 14 settembre 2017

Baby Boom

Il 27 luglio all'età di 73 anni è morto Sam Shepard. Dopo essermi dispiaciuta e anche sorpresa, vista l'età relativamente giovane di Shepard, mi è venuto in mente il film Baby Boom, dove Shepard interpreta il ruolo di un veterinario di cui Diane Keaton si innamora.

Ho pensato: per ricordare Sam Shepard, attore, sceneggiatore, vincitore di premi teatrali, regista e scrittore, potrò mai scrivere proprio di un film come Baby Boom, a cui il Mereghetti dà una stella e mezza e di cui dice che è meno divertente di Tre uomini e una culla e che è poco incisiva nel criticare i modi e le mode anni '80? No, non posso - mi sono risposta.

Poi il film è passato in tv e io, come tutte le volte, me lo sono guardato. Io lo trovo divertente e ogni volta che lo guardo l'umore mi migliora. Insomma, una delle funzioni dei film sarà anche quella di aumentare il buonumore o no? E allora ho detto: ma chiccacchio se ne frega della critica alle mode e ai modi degli anni '80, adesso faccio un post su Baby Boom.

Che poi, se proprio uno vuole criticare gli anni '80, più che le mode e i modi, forse dovrebbe criticare quel capitalismo e consumismo spinti che, secondo me, hanno la loro buona parte di responsabilità della situazione disastrata in cui siamo oggi. E nonostante Baby Boom sia una commedia senza pretese, con una bella dose di buoni sentimenti, a me pare che i problemi e le difficoltà che illustra siano, dopo trent'anni, rimasti immutati.

Insomma, di cosa parla questo film? Ebbene, il film ha come protagonista J.C. Wiatt, donna in carriera che lavora dalle 5 alle 9 (forse Dolly Parton potrebbe fare una variante della sua canzone "9 to 5") e non nel senso che fa un part-time di 4 ore ma nel senso che fa un extra-ultra-full-time di 16. Ella convive con uno che è workaholic come lei, interpretato dal compianto Harold Ramis, e col quale riesce a fare sessioni amorose di tre minuti, senza che nessuno dei due si svesta.

Una bella notte, J.C. riceve una telefonata che le annuncia che ha ereditato...BZZ...che ha ereditato KNF...non si capisce...la linea è disturbata. Il giorno dopo, il mistero viene svelato: J.C. scopre di aver ereditato da un lontano parente, non già le 10.000£ del Monopoli, bensì...una bambina, che non è altri che la figlia del lontano parente!

Che di solito non è tuo e ci sono sopra gli alberghi

Dopo lo shock iniziale, J.C. decide di dare la bambina in adozione ma, nei pochi giorni in cui si prende cura di lei, in attesa che le venga assegnata una famiglia, J.C. le si affeziona e decide di tenere la bambina con sè.

E qui J.C. commette un errore: si illude di poter fare la madre e continuare a lavorare come prima. Che già con un impiego normale la cosa potrebbe presentare dei problemi, figuriamoci quando al lavoro sei conosciuta come Tiger Lady e sguazzi in un mare pieno di squali che tra un morso e l'altro gridano:"Produttività! Competizione! Reperibilità 24/7!"

Ecco, c'è da dire che le donne si trovano spesso a dover fare i salti mortali per riuscire a essere contemporaneamente mogli, madri, lavoratrici e per ritagliare un po' di spazio per se stesse. Non hanno per niente vita facile. Però, e spero di non attirarmi le ire di qualche lettrice, mi pare che in alcuni casi, in questa corsa al dover/voler fare tutto, sono proprio le donne che spingono sull'acceleratore anche quando potrebbero scalare di marcia.

Non si spiega infatti come mai certe madri fanno di tutto, sanno tutto, controllano tutto, sono dappertutto, contemporaneamente. E fanno fare ai loro figli almeno 27 attività extra scolastiche. Ma perché? Cos'è quest'ansia da prestazione?

Ansia che si legge anche nelle neomamme che hanno il terrore di perdere la loro personalità e di venire fagocitate in un mondo dove esistono solo i pannolini e le pappe e che quindi vogliono recuperare il prima possibile (se possibile) il corpo e le abitudini che avevano prima della gravidanza. Magari sbaglio, ma forse un po' di pazienza non guasterebbe.

Amal Clooney, avvocato nonché moglie di George, ha recentemente annunciato il suo imminente rientro al lavoro, a distanza di 3 mesi dal parto. Ora, io non so come sia la situazione lavorativa di Amal, forse i suoi clienti stanno scalpitando affinché lei ritorni, oppure il suo studio è invaso dalle cavallette e urge una disinfestazione, però...è mai possibile che Amal non si possa prendere neanche 6 mesi per stare vicino ai suoi figli ora che ne hanno bisogno assai? Che faccia come vuole, per carità.

Secondo me c'è una donna, che definirei mitologica, che proprio negli anni '80 ha settato l'asta a un livello impossibile e che ha fatto venire il complesso di inferiorità a tutte le donne. Chi è? Ma è lei: l'ineguagliabile Clair (Huxtable) Robinson! A poco più di quarant'anni è un avvocato in uno dei più prestigiosi studi di New York, ha 5 figli, un marito adorante e una magione in cui non si vede l'ombra di un domestico né di una babysitter, lasciando quindi a intendere che è lei che fa tutto! Lavoratrice indefessa ma pur sempre pronta a mettersi elegante (anche se è già sempre impeccabile), in una sera qualunque, quando il marito la porta in qualche jazz club. Il telefilm dovrebbe avere come sottotitolo "Oltre i confini della realtà".

Sono una donna inarrivabile
Comunque, gli anni '80 sono passati e la condizione della donna mi pare grossomodo invariata, ma non così quella dell'uomo, il quale è sempre più coinvolto, anche se timidamente, nell'allevamento dei figli. Ora i tempi sono maturi perché i padri saltino la barricata e diventino genitori a tempo pieno.

Come la donna, a suo tempo, ha deciso di voler uscire di casa, anche per sua personale soddisfazione, è il caso che anche l'uomo esca dall'idea che l'educazione e il tempo dedicato ai figli siano cose che gli competono solo marginalmente. Oppure si vuole fare come il capo di J.C., che fa il direttore d'azienda ma non conosce il nome dei suoi nipotini? Uomini, ampliate un po' le vedute!

Dopo aver fatto questa lunghissima digressione (per cui probabilmente le sentirò da qualcuno), torniamo al film.
J.C. non riesce a essere produttiva come prima e non accetta incarichi che lei giudica dequalificanti. Decide quindi di fare una cosa pazzesca: cambia radicalmente vita e si trasferisce nel bucolico Vermont.

Il Vermont! Nella mia immaginazione, in Vermont è sempre autunno e tra gli alberi giallo-arancio spuntano graziose casette bianche e fienili rossi. Invece, in Vermont c'è anche l'inverno e J.C si ritrova sepolta sotto metri di neve, in una casa mezza scassata dove l'acqua e il riscaldamento funzionano a singhiozzo.
J.C. ha momenti di sconforto ma, per passare il tempo, cucina dosi industriali di marmellata e sarà proprio questo cibo che le farà riprendere le redini della sua carriera, ma stavolta sarà lei a dettare le regole.

E questa, tra l'altro, è una cosa che di questi tempi si vede parecchio. Oggigiorno ci sono molte persone, tra cui parecchie donne, che si mettono in proprio e creano, cuciono, plasmano, stampano e grazie alla rete vendono.

Diane Keaton nel ruolo di J.C. è molto divertente. Quel suo modo nervosetto di recitare, qui ci sta molto bene e Sam Shepard, tranquillo e rassicurante, le fa da perfetto contraltare. Come in tutte le storie d'amore cinematografiche che si rispettino, J.C. all'inizio fa la ritrosa, gli dice di essere una fredda donna in carriera, non come le svenevoli ragazzette che non sanno resistere al fascino del dottor Charm. Poi però deciderà se cedere o meno al sex appeal del veterinario.

Ho scoperto di recente che le gemelle attrici che interpretano la bambina sono ora due belle ragazze che fanno le insegnanti. Devo dire che la cosa mi ha dato sollievo e sono contenta che non siano diventate delle aspiranti pseudodivette chirurgicamente alterate.

Vi lascio con l'immagine di Diane e Sam danzanti.


martedì 5 settembre 2017

Il progetto misterioso

In questo periodo pseudovacanziero mi sto dedicando a un progetto che mi frulla in testa da anni e per cui tre anni fa avevo fatto un primo tentativo poi accantonato.
L'idea mi era venuta dal film "Smoke", diretto da Wayne Wang, con William Hurt e Harvey Keitel. Film secondo me molto bello, con inquadrature e montaggio al servizio della storia e degli attori.
Scrivo qui, grigio su rosa, il proposito di portare a termine il progetto, sperando quindi che vada in porto e non in fumo.